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Efesini 4:29 “Nessuna parola malvagia esca dalla vostra bocca, ma se ne avete una buona per l’edificazione, secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a quelli che ascoltano.”

Le parole sono importanti strumenti di comunicazione. Sono potenti, pesanti, significative per loro natura. Una singola parola dà luce a un pensiero indefinito, dà forma a ciò che prima era astratto, chiarisce e identifica un concetto. Qualcuno ha affermato che “le parole sono pietre”: come le pietre, infatti, le parole hanno un peso, una forma, una consistenza, occupano spazio nella nostra mente e nel nostro cuore, ma in qualche modo anche fuori di noi.
Le parole, come pietre possono essere usate per costruire muri o ponti, oppure possono essere l’arma con cui decidiamo di lapidare il nostro prossimo. Un utilizzo attento, parsimonioso ma efficace delle parole, apre le porte ad infinite opportunità di crescita; un uso superficiale e incontrollato invece può determinare una fine dolorosa delle nostre o delle altrui speranze.
Continuando nella nostra metafora, si può dire che le parole costruiscono muri ogni volta che definiscono un pensiero e rendono solida un’opinione o riflessione: talvolta, infatti, nella nostra mente regna una gran confusione, un caos che non lascia spazio a chiarimenti; a quel punto diventa necessario riconoscere e classificare ogni singolo pensiero per cercare di trovare una soluzione. Spesso i pensieri si riassumono in singole parole: parole dette, parole ascoltate, parole ricordate continuamente, parole su parole su parole. Allora noi, osservandole, le cataloghiamo alla meglio, cerchiamo di controllarle e usarle per farne qualcosa di utile. E così il nostro muro comincia a nascere: mettiamo una sull’altra tutte le parole nella nostra testa, e vediamo questo muro salire e salire. Il muro diventa la definizione di chi noi siamo, il nostro confine caratteriale, la circoscrizione della nostra zona di comfort. Tutto questo non è necessariamente un male se l’altezza della costruzione è tale da permetterci di vedere ancora cosa accade fuori di noi, di mantenere un contatto col mondo esterno.
La situazione diventa ben più critica se il muro supera la nostra testa, blocca la nostra vista, e così cominciamo a barricarci dentro per cercare di non vedere più cosa sta là fuori. Vogliamo siano questi muri a difenderci da nuove lapidazioni, da nuovi dolori, senza considerare però, che potrebbero esserci utili in altro modo.
Le belle parole che teniamo eccessivamente strette diventano muri di narcisismo, di egoismo e vanità; le parole brutte che teniamo e accatastiamo come pietre, invece, diventano mura di insicurezza, solitudine, disprezzo verso se stessi. Se tenessimo solo per noi tutte le parole che abbiamo dentro finiremmo per esserne sopraffatti e imbrigliati, murati vivi in noi stessi; per questo è bene scegliere quali parole vadano realmente tenute e valorizzate, e quali invece buttate via o utilizzate per creare ponti tra quello che noi siamo, pensiamo e sentiamo, e quello che il nostro prossimo è, pensa e sente.
Le parole che scegliamo per creare ponti sono quelle che identificano la qualità delle nostre relazioni. Se ne usiamo poche, piccole, poco solide e inconsistenti, avremo una comunicazione scarsa e traballante; se ne usiamo troppe invece rischiamo di invadere eccessivamente il terreno dell’altro e di sopraffarlo mettendolo a disagio vi è mai capitato di parlare con un logorroico? Aiuto!
La cura che mettiamo nella selezione delle parole destinate alla comunicazione con l’altro è quindi un elemento necessario alla buona qualità della relazione. Bisogna comunque tener sempre presente che, così come nell’ambito edilizio bisogna chiedere le opportune autorizzazioni per la costruzione, altrettanto nelle relazioni è sempre meglio assicurarsi che anche dall’altra parte ci sia una buona propensione alla comunicazione.
Per un ponte solido e duraturo servono pietre giuste, di ottima qualità e materiale adatto, le parole migliori insomma; ma serve anche tempo, mano d’opera e manutenzione; in altre parole (per restare in tema), per buone relazioni servono cura, costanza e dedizione, le parole devono prendere significato anche nelle azioni. Tutto l’opposto avviene quando le parole vengono utilizzate per essere scagliate contro qualcuno. Sì, perché la lapidazione esiste anche oggi, ed è quella verbale. Vediamo questa pratica barbara evolversi sempre più nei fenomeni sociali (o social) attuali: i “leoni da tastiera” ne sono un esempio evidente. Per la lapidazione non è prevista la scelta della pietra giusta, si prende la prima parola che capita (per lo più terribile, visto che la si raccoglie in terreni d’ira o disprezzo), e la si scaglia contro il prossimo in modo asettico, da lontano, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze.
Questo tipo di parole sono pietre pesanti, lasciano ferite che si riaprono facilmente, molti ne portano il peso. La maggior parte delle pietre lapidarie sono le stesse che il lapidato usa per costruire i suoi muri, sono grandi, grosse e pesanti, difficili da spostare o gettare via. Solitamente per liberarcene la miglior soluzione è quella di tirarle fuori scrivendo o parlandone a qualcuno che sia in grado di alleviare quel peso senza rimanerne schiacciato a sua volta.
“Le parole sono pietre”. Come le pietre sono solide, immobili, la loro utilità e il loro significato dipendono solamente dallo scopo che noi diamo loro. Possiamo vivere cercando di ignorarle, inciampandoci sopra ogni tanto; possiamo cercare di disfarcene o possiamo usarle per definire il caos; possiamo servircene per costruire muri insormontabili, oppure ponti di qualità; o ancora possiamo scegliere la via dei pigri e dei violenti che le scagliano stoltamente.
La mia domanda allora oggi è: “Quale utilità vuoi dare alle tue pietre? Che scopo vuoi dare alle tue parole?”
Nota di settore: al singolare “la Parola è una pietra”. Puoi usarla come base per l’edificazione tua, della Chiesa e del tuo prossimo; oppure puoi usare la Bibbia come pietra da scagliare, ogni qualvolta la getti addosso a un altro col solo scopo di giudicarlo, ferirlo, condannarlo. È evidente in tal senso anche il parallelo di Gesù che è la Parola e contemporaneamente la Pietra angolare, pietra del fondamento e dell’edificazione.

Marianna Sapuppo – Genova